Scritto da Natascha Lusenti
Oggi è un altro giorno e mentre guardo mia madre uscire dalla porta mi torna in mente quella volta in cui ero in vacanza su una piccola isola siciliana e una notte, d’improvviso, mi svegliai, mi misi seduta sul letto e dissi ad alta voce di sapere che la donna che mi ha partorita stava male. Ed era vero. Era successo 24 ore prima. Poi ho pensato a una mia amica che qualche tempo fa mi ha scritto per sapere come stavo, perché non mi sentiva da un po’ e diceva di avermi sognata per due notti di seguito e che questo l’aveva convinta che ci fosse qualcosa che non andava. Ed era vero. Allora mi sono ricordata della sorella di Virginia Woolf. Non quella di sangue, che si chiamava Vanessa e dipingeva quadri, bensì quella che si era scelta nella vita: ogni ragazza, cioè, a cui cercava di dire di non avere paura di prendersi il proprio posto nel mondo, anche se là fuori a volte sei sola e non c’è nessuno a cui appoggiarti. E penso che solo avendo il coraggio di abituarsi alla libertà, che è una compagna spigolosa, potremo imparare a darci una mano tra noi sorelle. Non so quante volte ho riletto l’ultima pagina di Una stanza tutta per sé e le parole con cui la scrittrice conclude il suo saggio del 1929: vale la pena.
(per le donne che hanno saputo tenermi per mano e indicarmi la via, ogni volta che mi sono persa)