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Ma dove vanno le ragazze?

Scritto da Stella Maggi

Il “Telefono Rosa” segnala l’articolo di Stella Maggi che riguarda un fenomeno in crescita in tutto il mondo sul quale non possiamo chiudere gli occhi e sul quale ci dobbiamo tutti impegnare a combatterlo.Scuola e famiglia, una volta pilastri della nostra società, devono riacquistare autorevolezza e consapevolezza: i ragazzi e le ragazze sono i cittadini del futuro e spetta a noi farne persone responsabili e rispettose.
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Bullismo al femminile, baby prostitute, adolescenti che vivono come se fossero adulte spingendosi ben oltre il lecito, con violenza o sfrontatezza, vendendo il loro corpo, passando continuamente dal ruolo di abusate a quello di abusanti, quasi con leggerezza . Se ne parla molto in questi giorni, a Roma e a L’Aquila. Se ne parlerà ancora e ci si chiederà “dove vanno le ragazze”, quelle che vediamo uscire al mattino di casa e tornare la sera, senza sapere altro della loro vita. Truccate, in minigonna, sorridenti o imbronciate, misteriose come la Gioconda. Cinema e letteratura dei loro movimenti se ne erano già accorti. Ricordiamo, tanto per fare qualche esempio, l’ultimo film di Sofia Coppola “Bling Ring” che racconta la storia vera di un gruppo di giovani ladre con la complicità di un ragazzo o “Foxfire” di Laurent Cantet , in cui alcune adolescenti si vendicano da sole delle angherie subite. E la lunga lista finisce con “Giovane e bella” di Francois Ozon, proprio in questi giorni al cinema, che scava nella vita di una diciassettenne di buona famiglia, studentessa al mattino, prostituta per divertimento, all’insaputa dei genitori. Adolescenti di oggi, violente e ingenue che al vecchio motto della psicologa tedesca Ute Ehrhardt – “le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto”- hanno dato un significato a modo loro. Non proprio all’insegna della crescita e del superamento dei limiti imposti dall’educazione o dalla società per conquistare un ruolo da protagoniste. Ribelli, com’è giusto che sia alla loro età.

Anche la cronaca, a voler ben guardare, si nutre da anni di storie del genere. Il caso delle baby prostitute in uno dei quartieri più ricchi di Roma è solo uno dei tanti che hanno fatto sussultare i lettori . Non più di una settimana fa , nel milanese, a Cinisello Balsamo, per ironia della sorte davanti al centro culturale dedicato a Sandro Pertini, le brave fanciulle hanno dato vita a un vero e proprio combattimento. Due gruppi di adolescenti, dodici ragazzine tra i dodici e i quattordici anni, si sono fronteggiate a botte e parolacce fino a che non è intervenuta un’altra adolescente, una sedicenne che voleva semplicemente farle ragionare. Lei è diventata a questo punto la nemica contro cui scagliarsi,tutte insieme, al grido di “stai zitta cicciona” . Alla fine è stata medicata in ospedale con una prognosi di cinque giorni. E ancora, siamo a Grosseto, botte alla ragazzina colpevole di avere la pelle di un altro colore, “la negra”, episodio filmato e diffuso su youtube e poi finito sulle pagine dei giornali, a febbraio, su cui prese posizione l’allora Ministro per l’integrazione Andrea Riccardi. Ma a Padova, a inizio ottobre, è successo il contrario: tre giovani tunisine hanno picchiato e vessato una diciannovenne italiana. Il litigio scoppiato per uno zainetto alla fermata dell’autobus è degenerato fino alla denuncia e ha coinvolto anche il ragazzo della vittima. Si potrebbe continuare a lungo. A Roma una giovanissima colpevole di avere le scarpe con i tacchi alti è stata picchiata da un gruppetto di ragazze, un’altra è stata tormentata per gelosia, fino a che non è intervenuto il padre e la rissa è degenerata tra genitori, a Latina una baby gang capitanata da una quindicenne è riuscita a trasformare il sabato pomeriggio e la passeggiata al centro in un momento di terrore per le coetanee, fino ad arrivare al dramma, in Florida : Rebecca di dodici anni si è uccisa perché le compagne di classe la prendevano in giro pesantemente sul web.
Dalle botte al computer, secondo i canoni contemporanei, quasi sempre in gruppo, violente all’uscita di scuola o alla fermata dell’autobus, convinte di essere nel giusto, di potersi affermare con la violenza, di essere uguali ai loro coetanei di sesso maschile anche in questo. Le “bulle” sono un fenomeno in lenta crescita, il dieci per cento dei reati commessi da minori è al femminile, la violenza fisica per le ragazze non è più un tabù, come se si volessero emancipare, ribellare alla sudditanza subita per millenni. La prostituzione nemmeno. Si stimano almeno 15.000 minorenni sul marciapiede, in tutt’Italia. Con dei distinguo. La maggior parte arriva dolorosamente dalla tratta delle schiave ed è tutt’altro fenomeno, altre, le studentesse di casa nostra, si vendono per scelta, per tanti o pochi euro, a seconda del ceto sociale, con o senza l’appoggio dei genitori. Scarpe firmate, jeans di prestigio e persino una ricarica telefonica rappresentano il loro sogno di bambine che crescono in piena crisi economica ma cercando di non rinunciare a nulla. Sono le due facce della stessa medaglia, il segno che qualcosa è cambiato, dolorosamente, senza che noi adulti ce ne rendessimo conto, senza che facessimo nulla per evitarlo.
La verità è che quelle bambine le abbiamo fatte crescere noi precocemente, abbandonandole davanti al televisore o al computer per ore ed ore, dimenticando di prenderle per mano e spiegare loro la differenza tra bene e male, tra avere ed essere. Sedotte dal sogno di “tutto e subito”, invaghite della possibilità di emanciparsi, incapaci di discernere e di capire dove le porteranno le loro azioni, rappresentano il triste specchio di una società in cui ogni regola morale ed etica è stata cancellata dalla superficialità. Dovremmo ricominciare a parlare con loro, non lasciarle sole, provare a capire e a spiegare che ogni gesto provoca una risposta, accarezzare la loro ribellione che non è altro che un disperato grido d’aiuto . E poi forse dovremmo ricominciare a sognare con loro. Sognare che avranno un futuro, una famiglia, un posto di lavoro. Spiegando, anche con il nostro esempio, che tutto si costruisce con fatica o per lo meno ci si prova. E questo fa la differenza.